Papa Benedetto XVI ed il gioco del calcio: leggete che bello!!

Tratte da Avvenire.it di giovedì 25 giugno 2010, pubblichiamo di seguito l'introduzione e una riflessione datata ma sempre attualissima e bellissima sul gioco del calcio dell'allora Cardinal Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI.

Il nostro caro Papa sta seguendo i Mondiali di calcio in tv ed è un supporter della Germania. Lo ha dichiarato ieri il segretario di Stato Tarcisio Bertone, riferendo del «tifo» di Ratzinger per il team tedesco. E in questi giorni è rimbalzato dal Cile un testo poco conosciuto dell’allora cardinale Ratzinger sullo sport più bello del mondo: è stata infatti la rivista «Humanitas», della Pontificia Università Cattolica del Cile, a rispolverare la riflessione «Gioco e vita» – qui riproposta integralmente – scritta dal futuro papa da arcivescovo di Monaco di Baviera (1977-’81). Il testo è confluito nel libro «Cercate le cose di lassù» (Paoline, 1986). L’attuale papa tenne alcune riflessioni per i fedeli ispirate al versetto di San Paolo nella lettera ai Colossesi (3,1). In questo caso Ratzinger rimarca il significato profondo dell’esperienza del gioco, fra il legame tra disciplina e libertà nella pratica calcistica.

«No all’industria del gioco, il campo insegni la disciplina»

DI JOSEPH RATZINGER

Regolarmente ogni quattro anni il campionato mondiale di calcio si di­mostra un evento che affascina cen­tinaia di milioni di persone. Nessun altro av­venimento sulla terra può avere un effetto altrettanto vasto, il che dimostra che questa manifestazione sportiva tocca un qualche e­lemento primordiale dell’umanità e viene da chiedersi su cosa si fondi tutto questo potere di un gioco. Il pessimista dirà che è come nell’antica Roma. La parola d’ordine della massa era: panem et circenses , pane e circo. Il pane e il gioco sarebbero dunque i contenuti vitali di una società decadente che non ha altri obiettivi più elevati. Ma se anche si accettasse questa spiegazione, es­sa non sarebbe assolutamente sufficiente. Ci si dovrebbe chiedere ancora: in cosa risie­de il fascino di un gioco che assume la stes­sa importanza del pane? Si potrebbe ri­spondere, facendo ancora riferimento alla Roma antica, che la richiesta di pane e gio­co era in realtà l’espressione del desiderio di una vita paradisiaca, di una vita di sazietà senza affanni e di una libertà appagata. Per­ché è questo che s’intende in ultima anali­si con il gioco: un’azione completamente li­bera, senza scopo e senza costrizione, che al tempo stesso impegna e occupa tutte le forze dell’uomo. In questo senso il gioco sa­rebbe una sorta di tentato ritorno al para­diso: l’evasione dalla serietà schiavizzante della vita quotidiana e della necessità di gua­dagnarsi il pane, per vivere la libera serietà di ciò che non è obbligatorio e perciò è bel­lo.Così il gioco va oltre la vita quotidiana. Ma, soprattutto nel bambino, ha anche il carat­tere di esercitazione alla vita. Simboleggia la vita stessa e la anti­cipa, per così dire, in una maniera libera­mente strutturata. A me sembra che il fa­scino del calcio stia essenzialmente nel fatto che esso colle­ga questi due aspetti in una forma molto convincente. Costringe l’uomo a imporsi u­na disciplina in modo da ottenere con l’al­lenamento, la padronanza di sé; con la pa­dronanza, la superiorità e con la superio­rità, la libertà. Inoltre gli insegna soprattut­to un disciplinato affiatamento: in quanto gioco di squadra costringe all’inserimento del singolo nella squadra. Unisce i giocato­ri con un obiettivo comune; il successo e l’insuccesso di ogni singolo stanno nel suc­cesso e nell’insuccesso del tutto. Inoltre, in­segna una leale rivalità, dove la regola co­mune, cui ci si assoggetta, rimane l’ele­mento che lega e unisce nell’opposizione. Infine, la libertà del gioco, se questo si svol­ge correttamente, annulla la serietà della ri­valità. Assistendovi, gli uomini si identifica­no con il gioco e con i giocatori, e parteci­pano quindi personalmente all’affiatamen­to e alla rivalità, alla serietà e alla libertà: i gio­catori diventano un simbolo della propria vi­ta; il che si ripercuote a sua volta su di loro: essi sanno che gli uomini rappresentano in loro se stessi e si sentono confermati. Natu­ralmente tutto ciò può essere inquinato da uno spirito affaristico che assoggetta tutto alla cupa serietà del denaro, trasforma il gio­co da gioco a industria, e crea un mondo fit­tizio di dimensioni spaventose.Ma neppure questo mondo fittizio potreb­be esistere senza l’aspetto positivo che è al­la base del gioco: l’esercitazione alla vita e il superamento della vita in direzione del pa­radiso perduto. In entrambi i casi si tratta però di cercare una disciplina della libertà; di esercitare con se stessi l’affiatamento, la rivalità e l’intesa nell’obbedienza alla rego­la. Forse, riflettendo su queste cose, po­tremmo nuovamente imparare dal gioco a vivere, perché in esso è evi dente qualcosa di fondamentale: l’uomo non vive di solo pane, il mondo del pane è solo il preludio della vera umanità, del mondo della libertà. La libertà si nutre però della regola, della di­sciplina, che insegna l’affiatamento e la ri­valità leale, l’indipendenza del successo e­steriore e dell’arbitrio, e diviene appunto, così, veramente libera. Il gioco, una vita. Se andiamo in profondità, il fenomeno di un mondo appassionato di calcio può darci di più che un po’ di divertimento.