Oggi la prima tappa della corsa in rosa. Un
evento che nel 1949 fu seguito per il Corriere dallo scrittore bellunese, che
di giorno in giorno rese un romanzo la sfida tra Coppi e Bartali.
Parte oggi da Napoli il 96esimo Giro d’Italia. Per entrare nel vivo
della corsa in rosa vi proponiamo questo articolo che Dino Buzzati scrisse nel
’49, anno in cui seguì la gara per il Corriere
della Sera (da quei pezzi è
tratto un libro, Dino Buzzati al
Giro d’Italia, di cui parlammo lo scorso luglio).
Il Paese era appena uscito dalla Seconda guerra mondiale, la ripartenza era
ardua e un evento come il Giro ebbe un effetto unico: dietro a quella corsa
s’accodarono le attese di rinascita di tanti tifosi, accomunati da Nord a Sud
dall’affetto per Coppi e Bartali, due atleti che offrivano qualcosa di nuovo in
cui sperare. Questo è l’articolo con cui lo scrittore bellunese raccontò il 2o
maggio 1949 la vigilia vissuta a Palermo per la prima tappa.

Pronti
i soldati, i centodue corridori (eroi forse domani, oppure sconfitti fantaccini
in vergognosa fuga?). Ancora stanotte e poi basta con le fantasticherie. Da
domani i loro sonni saranno duri, compatti e neri come catrame per ammucchiare
tutto il riposo disponibile, non una minima fessura da cui possa penetrare la
luce ingannevole dei sogni. Sono preparati. I muscoli hanno raggiunto la
elasticità dovuta. Le prescritte centinaia di calorie sono discese nel loro
tubo digerente. Il battito del cuore si è stabilizzato al ritmo che i medici
hanno indicato. Ciascuno ha pronti il rettangolo di tela cerata col numero di
gara e gli spilli per attaccarselo alla schiena. Ciascuno ha pronte le sue armi
segrete che gli altri non dovranno sapere, il talismano con dentro la
fotografia dei bambini, la medaglia della Madonna prediletta, il vecchio
berretto unto e bisunto ma imbattibile come “menabuono”, le scarpette speciale
col tacco fatto in un certo modo, le stesse che gli giovarono, tre anni fa, per
una vittoria strepitosa. Con meno fantasia uno ha infilato in un taschino della
maglia il tubetto della simpamina, un altro ha l’infuso energetico ideato
apposta per lui dal farmacista del paese. (…)

La grande impresa si ridurrà a un duello tra i due massimi e
proverbiali assi? O dalla schiera dei cadetti uscirà all’improvviso il nuovo
nome destinato ad attraversare il mondo? (…) Si trova qui con noi colui che
spegnerà le stelle di Bartali e Coppi? Ma il vecchio Pavesi sorride senza dire né
si né no. «Vedremo», risponde, «domani vedremo». Il prologo è finito. Si apre
la prima pagina del romanzo. Si vede una lunga strada sotto il sole, da una
parte e dall’altra due siepi di umanità in delirio e in fondo, che si scorge
appena, un cosino scuro che si avanza. Dio, come vola! È un uomo in bicicletta
a testa bassa, solo, lanciato alla vittoria. Chi è? Chi è? Un rombo di laggiù
si approssima, e l’urlo della folla sembra un tuono. Chi è? Ma non si può
rispondere. Troppo lontano è ancora.