Il 13 agosto il Papa ha ricevuto in
udienza le squadre nazionali di calcio di Italia e Argentina, impegnate in un
incontro amichevole a Roma.
«Sarà un po’ difficile per me fare il
tifo - ha detto sorridendo il Papa -, ma per fortuna è un’amichevole… e che sia
veramente così, mi raccomando!».
L'occasione naturalmente si presta
all'aneddoto e alla curiosità.Per la seconda volta da quando è Papa - la prima volta era
avvenuto in un messaggio del 20 marzo al San Lorenzo de Almagro, la squadra di
cui è tifoso e socio, con una quota sociale pagata regolarmente ancora qualche
giorno fa, ben dopo la sua elezione a Pontefice -, Francesco ha citato «il gol
di Pontoni» come il suo più bel ricordo calcistico. Quando era arcivescovo di
Buenos Aires, il cardinale Bergoglio aveva già menzionato più volte il
calciatore René Pontoni (1920-1983) e il suo famoso gol a titolo di esempio di
come anche il calcio, bene inteso, possa esprimere la bellezza ed essere a suo
modo una di quelle arti minori, che - come la gastronomia o le canzoni - fanno
ricca la vita. Il Papa è un tifoso di calcio, certo, ma che anche il modo di
mangiare e di spendere il tempo libero creino cultura e facciano nascere
ambienti in cui poi fioriscono le idee è un'idea tipica del pensiero sociale
latino-americano, dal sociologo Gilberto Freyre (1900-1987) al pensatore
cattolico Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995).
Il gol di Pontoni di cui continua a
parlare il Papa è quello con cui, nel 1946, il San Lorenzo de Almagro completò una
miracolosa rimonta sul Boca Juniors e vinse il campionato argentino. Era una
squadra fortissima. La guerra appena finita impediva molti incontri
internazionali, e così gli storici del calcio possono dibattere su chi
fosse allora la squadra più forte del mondo, fra il San Lorenzo del campionato
1946 e il Grande Torino che sarebbe tragicamente scomparso a Superga nel 1949.
Di certo c'è che quel San Lorenzo festeggiò lo scudetto argentino venendo a giocare
in Europa tre partite contro due nazionali fra le più forti del continente:
batté 10-4 il Portogallo e alla Spagna rifilò tredici gol in due partite.
Parlando ieri ai nazionali argentini il
Papa ha ricordato «il campionato del 1946» e come ne vide quasi tutte le
partite giocate in casa dal San Lorenzo nel suo vecchio stadio, il Gasómetro.
Il San Lorenzo, peraltro, ha una storia molto cattolica. Prende il nome dal
santo martire ma anche dal suo fondatore, il salesiano torinese padre Lorenzo
Massa (1882-1949), amico del padre del futuro Pontefice, titolare nella squadra
di basket della Polisportiva San Lorenzo creata dal religioso. I colori - rosso
e azzurro - sono quelli del Barcellona, ma padre Massa li scelse in onore del
rosso della veste e dell'azzurro del manto di Maria Ausiliatrice com'è
raffigurata nella Basilica di Torino.
L'incontro con i calciatori è stata
anche occasione per Papa Francesco per riflettere sul calcio come fenomeno sociale
planetario e sulle sue implicazioni morali. «Voi, cari giocatori - ha
detto il Papa -, siete molto popolari: la gente vi segue molto, non solo quando
siete in campo ma anche fuori. Questa è una responsabilità sociale!». Il
Pontefice è tornato sul tema, caro a diversi scrittori e studiosi
latino-americani, del calcio come metafora della vita. «Mi spiego - ha
affermato -: nel gioco, quando siete in campo, si trovano la bellezza, la
gratuità e il cameratismo. Se a una partita manca questo perde forza, anche se
la squadra vince. Non c’è posto per l’individualismo, ma tutto è coordinazione
per la squadra».
Questi valori erano forse più chiari ai
tempi eroici di Pontoni che nel calcio miliardario di oggi. «Forse queste tre cose:
bellezza, gratuità, cameratismo si trovano riassunte in un termine sportivo che
non si deve mai abbandonare: “dilettante”, amateur. È vero che l’organizzazione
nazionale e internazionale professionalizza lo sport, e dev’essere così, ma
questa dimensione professionale non deve mai lasciare da parte la vocazione
iniziale di uno sportivo o di una squadra: essere amateur, “dilettante”. Uno
sportivo, pur essendo professionista, quando coltiva questa dimensione di
“dilettante”, fa bene alla società, costruisce il bene comune a partire dai
valori della gratuità, del cameratismo, della bellezza». «Lo sport è
importante, ma deve essere vero sport! Il calcio, come alcune altre discipline,
è diventato un grande business! Lavorate perché non perda il carattere
sportivo».
Non c'è romanticismo nelle parole del
Papa. Che il
calcio sia diventato professionale è normale, «dev'essere così», ma anche nel
professionismo dovrebbe ancora brillare qualcosa dello spirito del dilettante,
del calcio come sport e gioco e non solo come business. Solo questo spirito
salva il calcio dai suoi mali, primo fra tutti la violenza. Quando nel calcio
professionistico si vede presente «questo atteggiamento di
"dilettanti"», allora «lo stadio si arricchisce umanamente, sparisce
la violenza e tornano a vedersi le famiglie sugli spalti».
Lo sport è «un dono di Dio», tanto
importante nella vita contemporanea, ma è anche - ha insistito il Papa - una
«responsabilità». «Cari giocatori - ha detto -, vorrei ricordarvi specialmente
che con il vostro modo di comportarvi, tanto in campo come fuori da esso, nella
vita, siete un punto di riferimento. Anche se non ve ne rendete conto, per
tante persone che vi guardano con ammirazione siete un modello, per il bene e
per il male». «Punto di riferimento per tanti giovani», i calciatori possono
fare del bene. Ma anche del male.
Anche i calciatori, dunque, dovrebbero
ricordarsi della forza che può venire dalla preghiera. «E, per favore - ha
concluso Papa Francesco -, vi chiedo che preghiate per me, perché anch’io, nel
“campo” in cui Dio mi ha posto, possa giocare una partita onesta e coraggiosa
per il bene di tutti noi».
Massimo Introvigne