"BOLLATE, IL PALLONE OLTRE LE SBARRE": DA AVVENIRE.IT DEL 08/03/2014

Nel carcere modello in cui si fa tanto sport la squadra dei detenuti partecipa a un torneo Figc. Prenna: «Sono l’unico mister a Milano che ha mangiato 11 panettoni di fila».

Non è mai troppo scontato, quan­do vi dicono che un pallone die­tro le sbarre è un piccolo-gran­de assist per quella libertà che ogni detenuto sogna di ricon­quistare una volta scontata la sua pena.
Nella Seconda Casa di Reclusione di Milano, alias il Carcere di Bollate, una forma di libertà è giocare con una pallina da tennis, come fan­no una cinquantina di detenuti/e. Schiaccia­re a rete come la squadra di pallavolo della se­zione femminile. Chi non vuole darsi all’ippi­ca - ci sono anche i corsi di equitazione - e ha fiato per correre, o si dà all’atletica, al rugby o può tentare di entrare nella squadra di calcio: la “Casa di Reclusione di Milano Asd”. È que­sta formazione il vero fiore all’occhiello del movimento sportivo all’interno dell’istituto.
L’allenatore è Nazzareno Prenna, 57 anni, mar­chigiano di Tolentino che parla con l’accento del suo «idolo e collega, Fabrizio Castori», ma ha il volto e la gestualità esilarante del comi­co Antonio Albanese. Calcio d’inizio di mister Prenna che si presenta così: «Permettete, so­no l’unico mister di una formazione milane­se che anche questo Natale ha mangiato il pa­nettone. E sono 11 di fila. Questa squadra do­vreste vederla, è una cosa stupenda…». Ve­derla è concesso a pochi: le gare “casalinghe” si disputano rigorosamente a porte chiuse sul campetto spelacchiato del carcere. Quelle por­te invece al mister si aprono tutti i giorni, dalla stagione calcistica 2002-2003. «Abbiamo cominciato in accordo con l’allora direttore Lucia Ca­stellano e la vicedirettrice Co­sima Buccoliero che è an­che il nostro “Presidente” (vicepresidente è l’at­tuale direttore del car­cere Massimo Parisi)», spiega mister Pren­na, fiero di guidare l’unica squadra composta intera­mente da detenuti che milita in un re­golare campionato della Figc.
«Ora siamo tornati in Terza Categoria, ma nel 2006 abbiamo vin­to un campionato di Se­conda. Il nostro titolo più importante resta comun­que la Coppa Disciplina. In undici anni mai un’intempe- ranza in campo. E sì che in squadra ho avuto anche gente condannata a pene molto lunghe, ma nessuno ha mai avuto atteggiamenti vio­lenti in campo, né con gli avversari, né tanto meno con gli arbitri». Merito di un gruppo che si autodisciplina e che finanziariamente ha sposato l’autarchia. «Il car­cere paga l’iscrizione al campionato che è già mol­to, poi però tutto il materiale tecnico, a co­minciare dalle “maglie gialle” che indossia­mo, è tutto a carico nostro. Chi ha qualcosa in più, spesso paga anche per il compagno che non può permetterselo. Le scarpette con i tac­chetti chiodati sono un lusso, la maggior par­te gioca con quelle con la suola di gomma e quando il campo è fradicio di pioggia si pos­sono ammirare dei “campioni di sci d’ac­qua”… Ma si divertono e soprattutto im­parano a rispettare le regole. E questo è il nostro obiettivo principale all’inizio di ogni campionato». Ma ogni stagione la rosa cambia e si rinnova, e non sempre con dei vantaggi, tecnica­mente parlando. La scrematura per la rosa che parteciperà al campio­nato avviene sui 300-400 detenuti visionati durante l’annuale torneo interno. Terminate le selezioni, i tesserati saranno al massimo una trentina, ma mister Prenna è da tempo alle prese con quello che con­sidera “il problema”. «Ogni stagione perdo una media di 11 calciatori. A me - dice con un tono alla “Alex Dra­stico” - l’indulto del 2006 mi ha rovina­to. Avevamo la più forte formazione di sempre, poi in un colpo solo se ne sono an­dati tutti i migliori. Ho provato anche a rin- tracciarli girando come un pazzo per i quartieri di Milano, a qualcu­no l’ho pregato di continuare a gio­care come “esterno”. Ma non c’è stato verso di convincerli, una volta fuori di qui, la prima cosa che fanno è dimenticare».
  Il mister invece non dimentica nessuno dei suoi giocatori. «Il più forte che ho avuto? Un difensore albanese, Zogu, ma farei torto a tan­ti altri che si sono rivelati dei buoni calciato­ri. Sono orgoglioso di aver cresciuto un paio di generazioni di “analfabeti calcistici” con dei risultati spesso insperati». Il risultato più im­portante dell’Asd Bollate però non è puntare alla promozione, ma quella che il mister chia­ma la “lotta per la sopravvivenza”. «Dobbiamo ringraziare gli agenti per la grande mano che ci danno. Fino a quando non c’era il permes­so di uscire per giocare in trasferta, abbiamo disputato dei campionati con “formazioni mi­ste”: in casa schieravo la squadra dei detenu­ti e fuori quella della Polizia penitenziaria. I ri­sultati erano altalenanti, vittoria in casa e scon­fitta quasi sicura fuori... Ma quell’esperienza ha creato un livello eccezionale di vivibilità e di collaborazione all’interno del carcere, con gli agenti sempre disponibili a venire incon­tro alle nostre esigenze».Anche adesso che i detenuti, grazie al calcio, possono compiere le loro “innocenti evasio­ni”, le trasferte restano comunque le partite più dure da affrontare.
«È una questione psicologica. Si entra nel blin­dato e per motivi di sicurezza arriviamo scor­tati un minuto prima che la partita cominci, così spesso non si riesce neppure a fare il ri­scaldamento. E poi la concentrazione è quel­la che è, mentre i nostri avversari all’interval­lo tra il primo e il secondo tempo rientrano nello spogliatoio, i miei ne approfittano per andare a parlare e a salutare, da dietro la rete di recinzione, i famigliari. Quello è un mo­mento talmente intimo e toccante per loro che non è che posso interromperlo per ricor­dargli del mio 4-4-2 o rimproverarli il gol pre­so o sbagliato, mentre magari sfiorano la guan­cia di un figlio...». Il mister tradisce un filo d’e­mozione che manifesta apertamente quan­do ricorda Alessandro Gatti, un ragazzo della squadra morto da poco di cancro. «Tutti as­sieme abbiamo deciso di onorare la memo­ria di Alessando ritirando per sempre la sua maglia, la n. “7”. Alcuni dell’Asd da quando sono entrati, sono usciti per la prima volta dal carcere per partecipare ai funerali del loro compagno di squadra...». Il ricordo com­muove mister Prenna, poi si schiarisce la vo­ce e prima di sciogliere le righe per la fine del­l’allenamento confessa: «Ho il patentino per allenare tra i professionisti, ma il rispetto che mi sono guadagnato da questi ragazzi che, as­sieme a me e al calcio, stanno cercando una seconda chance, mi fa sentire l’allenatore più felice e fortunato del mondo... Permettete, an­che più di Mourinho».