"L'EROE DELL'EMPOLI. IL BOMBER DEPORTATO.": DA AVVENIRE.IT DEL 23/01/2015

Carlo Castellani, storico goleador dei toscani, morì nel ’44 a Mauthausen. Testimonianze e due stadi a lui intitolati lo ricordano.
  
 «Quella mattina dell’8 marzo del 1944 – ero un bambino, avevo sei anni – qui a Fibbiana (frazione di Montelupo Fiorentino) arrivarono i fascisti. Me ne stavo affacciato alla finestra al piano di sopra, mentre sotto un camion portava via il mio babbo, Carlo. Lui alzò lo sguardo verso di me, mi salutò con un sorriso, poi il camion sparì. Da quel giorno non l’abbiamo più rivisto». È il ricordo triste di quell’ultima volta che Franco e sua sorella Carla (otto anni) videro loro padre Carlo Castellani, il “principe dei bomber” dell’Empoli Football Club. Fino al 2011, infatti, era ancora suo il primato di reti realizzate con la maglia degli azzurri toscani: 61 gol in 145 partite. Un record superato da Ciccio Tavano (64 reti) che è ancora in forza all’attuale Empoli, la “squadra dei talenti italiani” della Serie A che le gare casalinghe le gioca nello stadio intitolato a Carlo Castellani.
La formazione dell'Empoli anni '30: l'attaccante di Fibbiana
è il primo accosciato da destra.
Anche lo stadio di Montelupo Fiorentino reca il suo nome. Il nome di uno dei tanti martiri dello sport, sterminati dalla follia totalitaria. «Si calcola che tra i sei milioni di vittime del nazifascismo, il martiriologio sportivo abbia causato la morte di sessantamila atleti, di cui 220 di alto livello», ha scritto lo storico Sergio Giuntini. Castellani, classe 1909, non ha vinto né scudetti né mondiali come il grande Giuseppe Meazza (1910-1979) ma con il “Balilla”, oltre alla chioma impomatata, aveva in comune il gusto della giocata sopraffina e il senso innato del gol. Il giovane Carlo, figlio di David, imprenditore – ramo falegnameria –, giocava prima di tutto per passione e per assecondare quel talento che a Empoli era sulla bocca di tutti, a cominciare dai compagni di liceo.
«Aveva studiato dai padri scolopi e spesso dopo le lezioni scavalcava il muretto della scuola per correre ad allenarsi. Al rientro, ancora tutto sudato, a volte veniva scoperto e, così, gli toccava la punizione dei padri: in ginocchio per ore sulla ghiaia... Ma la sua voglia di giocare a pallone non conosceva ostacoli», racconta Sauro Cappelli, che ricorda quello che per lui e la sua generazione – i nati alla fine degli anni ’20 – è stato «l’idolo indiscusso ». Castellani, l’eroe della domenica degli empolesi ancor prima di diventare, suo malgrado, il bomber caduto nella banalità del male. La fine precoce di un beniamino popolare che aveva esordito in prima squadra a 16 anni. «Aveva la classe di Meazza e il fiuto per il gol di Piola – continua Cappelli –. Carlo cominciò da centravanti e poi, con il “metodo” allora in voga, finì da mezzala. Colpiva per la sua andatura caracollante, quando sembrava perdere la palla, “zac”, all’improvviso realizzava reti incredibili ».
Un ritratto di Carlo Castellani
prima della deportazione nel 
lager
Delle sue magie dopo il primo quadriennio all’Empoli (19261930) se ne accorsero i dirigenti del Livorno che lo fecero debuttare in Serie A. «Restò un altro anno al Livorno, in B, prima di scendere di categoria e tornare all’Empoli, perché Carlo era troppo innamorato di questa società. L’amava a tal punto che quando mancavano i soldi li metteva di tasca propria: affittava carrozze per consentire a tutta la squadra di andare in trasferta. Senza la sua generosità sarebbe stato impossibile raggiun- anche solo Fucecchio o Pistoia». Proprio i pistoiesi avrebbero ricordato a lungo l’Epifania del 1929: la San Giorgio Pistoia perse (8-5) con una storica, insuperata cinquina che portava la firma di Castellani. Questo all’Empoli neppure ai suoi “discendenti” (Di Natale, Montella, Tavano e Maccarone) è più riuscito. Così come nessun attaccante in maglia azzurra ha chiuso la stagione come fece lui: 22 gol in altrettante partite. «E sarebbero stati 23 se non avessero sospeso Empoli-Pontedera, quindi 63 marcature, solo una meno di Tavano », dice il figlio Franco, nato quando il padre stava per appendere gli scarpini al chiodo. A trent’anni passò a dedicarsi alla segheria di famiglia per aiutare il padre, al quale salvò la vita. In conseguenza dello sciopero del 3-4 marzo 1944 – indetto dal Comitato di Liberazione dell’Alta Italia – il nome indicato nel rastrellamento ordinato dai nazifascisti era quello di David Castellani. «Il nonno era un socialista “devoto” di Saragat, ma a quello sciopero (che ebbe una grande adesione di partecipanti a Firenze, Prato e Empoli) non avevano preso parte né lui, né il babbo », precisa Franco. David Castellani era finito nella lista nera dei repubblichini per aver espresso pubblicamente critiche al regime fascista. Una frase inopportuna in tempi di censura assoluta, ma quella condanna avvenne «anche per l’invidia di alcuni paesani verso la nostra famiglia e nei riguardi di un uomo libero, apolitico, uno sportivo amato e stimato », aggiunge Franco. All’alba dell’8 marzo il gerarca “amico” Orazio Nardini e due carabinieri andarono a bussare alla porta di casa Castellani per arrestare il capostipite. «Mio padre è malato, fa lo stesso se in caserma vengo io?», queste le parole pronunciate da Carlo che, caricato sul camion, venne condotto con gli altri deportati («21 erano di Montelupo, in 16 non tornarono più», informa il presidente dell’Aned Empolese-Valdelsa, Andrea Bardini), alle Leopoldine di Firenze. «Alla stazione di Santa Maria Novella, al binario 1 (non al 6°, da cui partirono la maggior parte dei prigionieri destinati ai lager nazisti) – spiega Cappelli – Carlo e gli altri deportati vennero ammassati come bestie in un vagone piombato». Tre giorni e tre notti di viaggio per approdare sfiniti alla destinazione finale: il campo di concentramento di Mauthausen. «Carlo venne internato in uno dei tre sottocampi di Gusen e messo a lavorare nella fabbrica che produceva pistole. Patì il freddo e la fame e dopo cinque mesi a ucciderlo fu la dissenteria», racconta Franco che, con Carla, ogni giorno aspettava, invano, il ritorno del babbo.
«Siamo cresciuti nel ricordo e grazie alle cure amorevoli di mamma Irma. Un giorno dalla Germania arrivò una lettera – in tedesco – in cui si diceva che Carlo Castellani era morto l’11 agosto del 1944 e il suo corpo gettato in una fossa comune». L’ultimo a vederlo e a parlarci fu il suo compagno di prigionia Aldo Rovai, il quale al ritorno mantenne la promessa fatta a Carlo che lo implorò: «Racconta alla mia famiglia come sono morto! Dì loro che ho sofferto più di Gesù Cristo...». Ogni anno una delegazione dell’Aned si reca a Gusen, dove l’Empoli FC ha fatto mettere una lapide in cui per sempre vivrà la memoria del suo eterno principe dei bomber.