"IL FAVOLOSO CHIEVO FA SCUOLA NEL MONDO": DA AVVENIRE.IT DEL 15/04/2015

Il club del presidente Campedelli sul campo parrocchiale Bottagisio ha costruito il suo centro sportivo «Abbiamo ridotto di un terzo gli investimenti, puntando su una struttura che per noi è il futuro».

L’economista Marco Vitale, nel 2002, agli inizi della “favola Chievo” in Serie A, aveva già analizzato la portata del fenomeno. Il suo libro (scritto con Gian Paolo Ormezzano) "Fenomeno Chievo. Economia, costume, società. Una squadra di quartiere contro il calcio miliardarioè, fin dal titolo, la sintesi perfetta di una realtà ormai consolidata, in cui non vanno più usati i termini riduttivi di “favola” o di “miracolo”. Il Chievo Verona, in campo e fuori è diventata una piccola potenza, apprezzata oltralpe a partire dai maestri dell’industria calcistica moderna, il Bayern Monaco (Rummenigge ha appena ribadito che il calcio ha bisogno di modelli come il club veronese) e studiata da quelle piccole in ascesa (sempre più ingombranti per Lotito& C) come il Carpi. Il Chievo ha saputo mantenere vive le sue radici di club di quartiere, a gestione famigliare (da 50 anni al timone c’è la famiglia Campedelli), ma proiettandosi in una dimensione internazionale, tenendo a mente la lezione etica delle origini. Il cammino dei ragazzi del bar “La Pantalona”, infatti, è cominciato in un campetto parrocchiale, un terreno donato alla sua morte dal cavalier Carlantonio Bottagisio, nel quale le attività sportive erano curate da don Silvino Venturi, ai tempi parroco della frazione di Chievo. «Gaudete in domino», era il motto di don Silvino tramandato ai ragazzi della scuola calcio, il Chievo Accademy che al Bottagisio ha il suo Centro Sportivo. Un centro all’avanguardia, fortemente voluto dal presidente Luca Campedelli, provvisto di quattro campi (due regolamentari da 11 e due da 9) in erba sintetica di ultimissima generazione. Una dimensione molto british, come piace al patron, cultore della Premier inglese e non a caso questo è diventato il “Bottagisio Sport Center”. Oltre al calcio vi si pratica la scherma (altro pallino di Campedelli) e nei summer camp si organizzano anche regate di canoa sul letto dell’Adige che accarezza i campi dove si esibiscono le formazioni della premiata cantera gialloblù. Marco Fioretto, 40 anni, da oltre un decennio nello staff tecnico, è l’unico che affianca l’attività di allenatore (degli Allievi) a quella di responsabile di un settore giovanile di Serie A. «È una responsabilità certo, ma anche un lavoro stimolante che è stato ben avviato nel tempo da Maurizio Costanzi (ora responsabile del settore giovanile dell’Atalanta) che, per quindici anni, ha programmato un percorso di crescita graduale che da un po’ comincia a dare i suoi frutti». Nella stagione 2013-2014 la Primavera dell’ex bandiera Lorenzo D’Anna ha conquistato il primo storico scudetto di categoria. E tutte le altre formazioni, fino ai pulcini, sono sempre presenti alle fasi finali dei rispettivi tornei. «Competitività, ma senza esasperazioni. Completa condivisione con le famiglie del progetto educativo e sportivo – sottolinea Fioretto –. Questo ha fatto sì che né i ragazzi in campo e tanto meno i genitori in tribuna hanno mai avuto comportamenti sopra le righe, come invece si sente e si vede spesso in giro nei campionati giovanili». Lo sport come divertimento e senza stress di alcun tipo, sono i cardini della filosofia del “Chievo School” nato nel 1997 come “agenzia” «per la promozione – si legge nel manifesto – di un maggiore livello socio-culturale, organizzativo e tecnico nel mondo del calcio». Nell’oasi del Bottagisio si impara, fin da piccoli, a fare le cose al meglio, ottenendo il massimo, ma con investimenti economici oculati, al passo con le disponibilità del club. La società investe il 5% del fatturato nel settore giovanile, ma quest’anno quella quota si è sensibilmente assottigliata. «Rispetto alla passata stagione abbiamo ridotto di un terzo le risorse e siamo scesi a 800mila euro per la stagione in corso – continua Fioretto –. Tagli? No,diversificazione della spesa. C’è chi punta tutto sul patrimonio tecnico, quindi spendendo per i cartellini dei ragazzi da acquistare in giro per il mondo e chi come noi ha preferito puntare sulla struttura del Bottagisio che rappresenta il nostro futuro». Qui crescono, studiano, si allenano e disputano i campionati, circa 250 giovani tra gli 8 e i 18 anni. «La maggior parte sono ragazzi di Verona e provincia, al massimo veneti o del mantovano. Quelli che prendiamo da fuori regione o da paesi esteri cerchiamo di trasferirli al Bottagisio non prima dei loro 16 anni», precisa Fioretto. Solo quindici ragazzi attualmente provengono da fuori regione: i 10 “esterni” sono calciatori della Primavera tricolore che in rosa contano appena 4-5 stranieri. Quindi particolare attenzione per un ritorno, come vogliono i vertici federali, ai talenti di casa nostra. «Come scoviamo i talenti? Grazie a degli osservatori non professionisti – non ce li possiamo permettere – che potremmo semplicemente definire “amici del Chievo”, molti dei quali operano all’interno delle nostre 100 società affiliate. Il resto è il risultato di un lavoro quotidiano, fatto sul campo, con uno staff tecnico composto da 40 allenatori, quattro tecnici per ogni formazione». Un lavoro meticoloso che oltre allo scudetto Primavera ha prodotto una serie di promesse, alcune delle quali, come Diego Farias (ora al Cagliari) e Cesare Rickler (al Prato) sono già arrivate a calcare il palcoscenico della Serie A. «Abbiamo almeno una ventina di nostri ragazzi che al momento sono in prestito in club di Serie B e Lega Pro». Tra questi spiccano il capocannoniere della Primavera campione d’Italia, il 20enne brasiliano Victor Da Silva (attualmente al Brescia) e il portiere di belle speranze Simone Moschin che sta difendendo i pali del Pisa. Tutti giovani cresciuti seguendo l’insegnamento di patron Campedelli, «Prima di tutto viene la persona», specie se in riferimento alla tragica perdita - avvenuta nel 2002 - del centrocampista Jason Mayélé: il ragazzo di Kinshasa, morto a 26 anni in un incidente stradale. «Ogni anno, il 2 marzo, giorno della morte di Mayelè, facciamo celebrare una Santa Messa alla quale partecipano i nostri ragazzi». E i ragazzi del Chievo Accademy si ritrovano anche nei campus estivi promossi in Nordamerica, a Panama e alle Hawaii. Negli anni il presidente Campedelli, fedele al suo sosia “Harry Potter”, ha usato la bacchetta magica e fatto viaggiare il club con il “Progetto Mondo” che è andato a portare un pallone e un sorriso ai bambini di Brasilie, Birmania, Bolivia e Colombia. Ultima tappa, ad Amauta, periferia di Lima (Perù) dove il Chievo prova a strappare allo sfruttamento del lavoro minorile quei ragazzi ai quali offre un nuovo campo di calcio «con servizi igienici e spogliatoi ». Un altro piccolo Bottagisio al di là dell’Oceano, in cui crescere e giocare, «inseguendo un pallone e un sogno che comincia con il non dover abbandonare il proprio banco di scuola», non è più utopia.