Un libro canadese svela con testimonianze inedite il grande valore del campione di ciclismo: salvò centinaia di ebrei nascondendo intere famiglie in cantina e portando in bici ad Assisi nuovi documenti.
«Oh, quanta strada nei
miei sandali / quanta ne avrà fatta Bartali / quel naso triste come una
salita», cantava Paolo Conte. Ma è grazie ai suoi
meriti extrasportivi, la partecipazione alla Resistenza e il salvataggio di
molti ebrei, che Gino Bartali, il campionissimo italiano delle due ruote, è
stato celebrato anche oltre Atlantico, con la pubblicazione del saggio “Road to
Valor” dei canadesi Andres e Aili McConnon, fratello e sorella, rispettivamente
ricercatore storico e giornalista di varie testate statunitensi (New York
Times, Wall Street Journal e Guardian). Ginettaccio, staffetta partigiana,
durante la
Seconda guerra mondiale contribuì a sottrarre centinaia di ebrei
tra Toscana e Umbria dalle grinfie dei nazifascisti, salvando un’intera
famiglia dalla deportazione ad Auschwitz. Il libro made in Usa, che ripercorre
le sue gesta, ora approda anche in Italia, proprio nei giorni della volata
finale del Giro e alla vigilai del Tour, col titolo “La strada del coraggio –
Gino Bartali, eroe silenzioso” (edizioni 66thand2nd).
LA CANTINA RIFUGIO
Inediti
dettaglia su Bartali, classe 1914, originario di Ponte a Ema, frazione di
Firenze, che nella sua leggendaria carriera ha vinto tre Giri d’Italia e due
Tour de France, erano stati rivelati da Adam Smulevich su Pagine Ebraiche. In
una testimonianza il fiumano Giorgio Goldenberg (che da quando vive in Israele
ha cambiato il nome in Shlomo Pas) aveva raccontato che il popolare Ginettaccio
e il cugino Armandino Sizzi nella primavera 1944 nascosero per mesi a Firenze, nella
cantina della casa in via del Bandino, i quattro componenti della sua famiglia
(padre, madre e due bambini, Giorgio e Tea), impedendone l’arresto da parte dei
nazisti. Il
libro, ricco di testimonianze e documenti, è diviso in tre parti e ricostruisce
l'infanzia e la giovinezza del campione, fino al trionfo al Tour de France del
1938 (e Gino si lamenterà delle ingerenze politiche del regime fascista che gli
impedirono di realizzare l'accoppiata Giro-Tour, vietandogli la corsa rosa); il
periodo bellico, la sua militanza nell’Azione Cattolica, mal tollerata dal
fascismo, e l'attività clandestina nella Resistenza; e poi, dopo la Liberazione , il
ritorno alle competizioni, la storica rivalità tra Bartali e Fausto Coppi
divise il tifo sportivo dell’Italia repubblicana, nel fervore della
ricostruzione, trasformandosi anche in un fenomeno socio-politico: Coppi
simil-Peppone, “rosso” e laico, e Bartali-don Camillo, “bianco” e cattolico.
Fino alla seconda straordinaria vittoria al Tour del 1948, con gli occhialoni
infangati di fango che in qualche modo allentò la tensione esplosa nel Paese
dopo l'attentato al segretario del Pci Palmiro Togliatti, fino alla morte
avvenuta a Firenze nel maggio del 2000. Memorabili le sue battute «L'è tutto
sbagliato l'è tutto da rifare», il suo spirito bonario, il fumare come una
ciminiera e la verve polemica da toscano, che non disdegnava il buon
Chianti.
LA RETE CLANDESTINA
Bartali
fu staffetta partigiana a partire dall'autunno 1943 su incarico
dell'arcivescovo di Firenze, il cardinale Elia Dalla Costa, e al servizio della
rete clandestina Delasem messa in piedi dall’ebreo pisano Giorgio Nissim. Il
ciclista toscano fingeva di allenarsi per le grandi corse a tappe che sarebbero
riprese dopo il conflitto ma in realtà trasportava documenti falsi, celati in
una sorta di cilindro montato sulla canna della bici, simile a una pompa per
tubolari, per circa 630 ebrei nascosti in case e conventi tra Toscana e Umbria. Centinaia
di km percorsi in bici avanti e indietro, da Firenze ad Assisi (la strada del
coraggio), per “consegnare” nuove identità alle famiglie ricercate con feroce
determinazione dai fascisti della Rsi e dai nazisti. Bartali non si vantò mai di questa sua esperienza e non volle raccontarne i
dettagli. «Non si specula sulle disgrazie altrui», soleva rispondere a chi gli
chiedeva ulteriori ragguagli. Soltanto dopo la sua scomparsa, è stato possibile
approfondire questo capitolo della sua esistenza, che potrebbe presto portarlo
a essere iscritto nel registro dei Giusti del Museo Yad Vashem di Gerusalemme.
E grazie a Ginettaccio, nel 2014 proprio la sua Firenze potrebbe avere l’onore
di aprire il Tour De France. Una candidatura appoggiata dall’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane e dal Conseil Représentatif des institutions juives
de France. Quell’anno infatti si celebra il centenario dalla nascita di Gino
Bartali, campione sulle due ruote e nella vita.