«Il calcio
non è malato, è solo cambiato tanto. Va tutto così di fretta, come la vita...».
Si presenta così, al Circolo Tennis Scaligero (convocato dall’amico e
“alchimista” del pallone, Romano Mattè) Osvaldo Bagnoli, 78 anni a luglio. Il
“mago” della Bovisa, l’allenatore che ha scritto il romanzo calcistico più
bello degli ultimi trent’anni: lo scudetto dell’Hellas Verona, stagione
1984-’85.
Un romanzo
popolare, come il suo protagonista, «figlio di operaio socialista, milanese»,
rimasto sempre lo stesso, nell’anima e anche nell’abito. Borsalino in testa,
lupetto color granata, giacca a quadrettoni, la stessa, forse, che indossava in
qualche domenica collegato con il “90° Minuto” di Paolo Valenti. Eugenio, il
titolare del bar del Circolo, è un napoletano che si illumina d’immenso quando
vede l’Osvaldo seduto al tavolo.
E pensare
che negli anni ’80, c’era qualche sciagurato che prima di un Verona-Napoli
scriveva alla porta: “Non si affitta ai napoletani”. «Roba vecchia. E poi basta
con questa storia della “Verona razzista” - attacca Bagnoli - . Per colpa del
solito gruppetto di sconsiderati, che sta in tutte le Curve, la tifoseria
veronese ha pagato e paga ancora ben oltre le proprie responsabilità». Per
“tifoseria veronese” intende quella dell’Hellas, ma questa è anche la città del
piccolo-grande Chievo Verona del presidente Luca Campedelli. «Il Chievo è una
favola, un modello societario, stanno simpatici a mezza Italia, ma non sono
riusciti a conquistare quei 20-30 mila tifosi fissi al Bentegodi. E questo
dispiace, ma fa capire anche tante cose...». Tipo che un’intera città vive e si
tramanda ancora quel sogno tricolore, forse irripetibile. «Di quello scudetto è
stato scritto e detto di tutto. La nostra forza? Lo spogliatoio. Il modulo? -
sorride - Macchè... La differenza la fa sempre l’equilibrio della squadra.
Siamo rimasti uniti anche dopo, i ragazzi mi telefonano ancora, tutti».
Oggi l’ha
chiamato Volpati che fa il dentista a Cavalese. «Sento anche Marangon certo...
È vero non lo volevo, dovunque giocava l’anno dopo andava via. E invece con noi
ha fatto una buona riuscita. Penzo e Fanna li ho visti ieri, gestiscono una
scuola calcio». Gli altri ex gialloblù li ritroverà alla festa per i 110 anni
del club, lunedì 20 maggio all’Arena di Verona. Dalla Danimarca per la gioia
dei nostalgici arriverà anche Elkiaer.
«Ma ve lo
ricordate il gol che fece alla Juve? Perse la scarpa al momento di tirare e
segnò, scalzo», dice l’Osvaldo con gli occhi sgranati, come se stesse rivedendo
la rete epica del danese. E storica fu anche la marcatura del panzer Briegel su
Maradona. «Il giorno prima lo presi da parte e gli dissi: oh Briegel, ma tu
Maradona l’hai mai marcato? E lui con quel grugno da tedescone: “Gerdo, con la Germania, tutto ok".
Beh, Maradona non vide palla, Briegel segnò pure un gol e Verona-Napoli finì
3-1». Prove tecniche di uno scudetto strappato a quel Napoli maradoniano, ma
soprattutto alla Juventus di Platini. Ma i bianconeri si rifecero con gli
interessi l’anno dopo eliminando il Verona in Coppa dei Campioni, in una
discussa partita a porte chiuse. «Rientriamo nello spogliatoio del Comunale di
Torino e a uno dei miei cade uno zoccolo in terra che rimbalza e va a
infrangere la vetrata…. Qualche giornalista grida: “Dove sta la polizia?”. A me
è scappato d’istinto: no guardate i “ladri” sono di là, feci indicando lo
spogliatoio della Juve... Boniperti quando glie lo dissero ci rise su, tutti
gli altri me l’hanno rinfacciato per anni». Nove, furono gli anni alla guida
dell’Hellas, uno in B e 8 in A, prima del suo momentaneo addio per Genova,
sponda Grifone.
«Se avessi
avuto lo stesso spogliatoio di Verona si poteva arrivare molto più in alto, ma
c’erano tre-quattro elementi che a un certo punto ruppero l’armonia che si era
creata». Di quel suo Genoa rimane l’impresa degli “eroi di Anfield Road”,
vittoria sul Liverpool, e la semifinale di Coppa Uefa, persa contro l’Ajax. «E
lì ho commesso un errore... Al lunedì, prima della sfida con l’Ajax, la squadra
si mise a litigare per i premi partita che il presidente Spinelli non voleva
pagare. Invece di piantare i pugni sul tavolo stetti ad ascoltare i giocatori e
risolsi il problema, subito. Perché? Ero già d’accordo con l’Inter e non volevo
che qualcuno di loro mi dicesse: “Tu parli bene, tanto l’anno prossimo te ne
vai”. Non l’avrei sopportato. La lealtà e la correttezza vengono molto prima
dei soldi e del successo e questo non me l’ha insegnato il calcio, ma i miei
genitori». Ritorno alle origini, a Milano, nel ’93, quando il presidente
Pellegrini lo chiamò all’Inter.
«Non era la
mia squadra del cuore, da bambino tifavo Juve, da giocatore ho cominciato nel
Milan, con Liedholm e Schiaffino. A casa conservo una sola foto, quella con
Nordhal». Un velo di nostalgia al ricordo del “Pompiere” del Milan: «Mi
aggregano alla prima squadra e Nordhal da capitano aveva il compito di
raccogliere la colletta per la mancia da dare ai camerieri dell’albergo. Quando
viene da me mi dice: “No tu no. Anzi dopo aspettami che ti devo dire una cosa”.
Quando tornò mi stringe la mano lasciandomi delle banconote: “Questi sono tuoi
ragazzo, fatteli bastare”. Ho capito allora che un grande campione di solito è
anche un grande uomo... Tornando all’Inter, ci sono arrivato a 57 anni, forse
troppo tardi. Adesso la danno ai ragazzini? Non lo so, non mi interessa. Uno
come me che ha fatto la terza media non è nella posizione di poter giudicare
nessuno. Quando Gianni Brera mi dette dello “Schopenhauer”, lo ringraziai, ma
gli risposi: non credo proprio di essere all’altezza del suo grande filosofo».
E invece
l’Osvaldo ragiona da filosofo e vive da cattolico, praticante. «Alla domenica
vado sempre alla messa con mia moglie e nostra figlia Monica... Anzi tra un po’
devo andare a riprenderla al lavoro», dice l’Osvaldo, con gli occhi lucidi del
padre amorevole. Monica, 45 anni, non vedente dalla nascita, fa la
centralinista in una banca e naturalmente tifa Hellas. «Ascolta tutte le
radiocronache di Roberto Puliero e quando c’è un gol lo so in tempo reale,
dalle sue grida di gioia... Il Verona tornerà in A, ma al Bentegodi vado poco,
le partite ormai le “compro” alla tv. Quest’anno ho guardato molto la Roma:
Totti è uno per cui vale ancora la pena andare allo stadio. La Nazionale?
Prandelli l’ho visto cominciare qua a Verona, un educatore, uno che trasmette
valori e poi calcio. È quello che ho provato a fare anche io... Spero di
esserci riuscito».
Massimiliano
Castellani