«Era proprio un’arca di Noe», la
curiosa connotazione che suor Maria Giuseppina Biviglia dava nel suo libro di
memorie al Monastero di San Quirico di Assisi era scritta tra parentesi, quasi
una battuta fatta sottovoce a commento del lungo elenco di rifugiati ospitati
dalle clarisse di cui era badessa durante gli anni della Seconda Guerra
Mondiale: in prevalenza ebrei, ma anche socialisti e fuggitivi politici, gente
che scappava dai campi di concentramento. Ma le porte delle celle umbre si
aprirono pure a qualche fascista in cerca di ricovero dopo l’arrivo degli
americani, o a ufficiali dell’esercito regio. Perché negli anni in cui l’Europa
esplodeva tra bombe, rastrellamenti e ideologie, la cittadina di San Francesco
era un luogo abbastanza sicuro dove cercare protezione, e presto arriverà al
monastero di San Quirico anche il riconoscimento dal museo dell’Olocausto Yad
Vashem, che inserirà madre Maria tra i “Giusti delle Nazioni”.
DAL VESCOVO AL CICLISTA. L’accoglienza della suora nelle sale del suo
istituto era il terminale di una rete di soccorso clandestina che solo dopo
tanti anni riusciamo a conoscere con precisione: l’anello più famoso e
singolare era Gino Bartali,
che fingeva di allenarsi e portava da Firenze ad Assisi, nascosti nella canna
della sua bicicletta, fogli, fotografie e documenti falsi per far espatriare i
rifugiati. Non a caso il ciclista lo scorso settembre è stato dichiarato
“Giusto tra le Nazioni” da Yad Vashem, ma come a lui il riconoscimento è
toccato anche ad altri attori della vicenda: il cardinale di Firenze Elia Dalla
Costa, quello di Assisi Giuseppe Placido Nicolini, il guardiano del convento
padre Rufino Niccacci e pure i tipografi di documenti falsi Luigi e Trento
Brizi. Mancava solo suor Giuseppina e le sue consorelle del monastero, il cui
impegno nel aiutare diverse famiglie ebree era stato unico: talvolta accolte
nel dormitorio, altre volte ricoverate negli ambienti della clausura o nascoste
nei sotterranei.
«
NEL ’44 RISCHIARONO DI ESSERE
SCOPERTE. Finché
nel febbraio del ’44 la rete non rischiò di essere sgominata del tutto: venne
infatti scoperto un giovane croato ricercato dalla polizia, Paolo Josza.
Documenti falsi in mano, quando gli venne chiesto dove alloggiava, parlò del
monastero di San Quirico. I funzionari della Repubblica Sociale si presentarono
così al convento. Appena il tempo di nascondere alcuni rifugiati, le suore
radunate in preghiera, madre Maria affrontò le minacce d’arresto: «Eccomi
pronta; munitevi di permesso, perché sono monaca di clausura e non posso
abbandonarla senza autorizzazione». Son sempre le memorie di suor Biviglia a
parlare: «Per grazia di Dio non ne fu nulla. Dio sa quanto mi premeva la sorte
di quei poveri giovani, quanto tremavo anche per il Monastero e con quale
intimo spasimo cercassi di mostrarmi calma e sicura».