DA TEMPI.IT DEL 6 SETTEMBRE 2012: «L’IPOCRISIA INGLESE CHE FESTEGGIA LE PARALIMPIADI INSIEME AI TEST PRENATALIi»

di Benedetta Frigerio

Intervista a Josephine Quintavalle, leader dei pro lige inglesi: «La nostra legge permette l’eugenetica: se non ci chiediamo perché i giochi ci commuovono saranno stati inutili».


Martedì scorso il quotidiano britannico Daily Mail titolava: “Nuovo test del sangue per i Down che abbassa il rischio di errori: screening più accurati e sicuri per i bambini”. Sullo stesso giornale si celebravano gli atleti disabili delle paralimpiadi di Londra. «È questa l’ipocrisia moderna che si riflette nella legge: da una parte si fa differenza tra concepiti normali e concepiti handicappati. Dall’altra si esaltano gli atleti delle paralimpiadi», spiega a tempi.it Josephine Quintavalle, la più nota esponente laica del movimento pro life britannico, fondatrice e direttrice del Comment on Reproductive Ethics, l’osservatorio sulle tecniche riproduttive umane.
Proprio ieri James Parker, cappellano ai giochi olimpionici, ha raccontato dei dialoghi con alcuni atleti che notavano la stessa ipocrisia: non si capacitavano del fatto che, se fossero stati concepiti nell’Inghilterra di oggi, sarebbero stati molto probabilmente abortiti.

È così. La legge inglese permette l’aborto fino alla ventiquattresima settimana in qualsiasi caso la donna dica di “non sentirsela”. E poi lo permette fino a un minuto prima della nascita nel caso di disabilità del nascituro. In totale gli aborti ufficiali sono circa 600 al giorno. E con la diffusione delle diagnosi pre natali tra il 2001 e il 2010 il numero di quelli dovuti a disabilità è cresciuto di un terzo, 10 volte l’aumento globale degli aborti. La legge sull’aborto è una legge chiaramente eugenetica.
Eppure le persone si commuovono nel vedere gli atleti disabili. Pare sappiano amare la vita più di alcuni sani che la danno per scontata. Forse dovremmo chiederci perché.

Colpisce anche la loro capacità di affrontare la fatica in vista della meta. La loro forza, ma non solo. Questi atleti ci ricordano anche, come ha sottolineato giustamente il cappellano dei giochi, la bontà del limite umano che genera gesti di carità di cui abbiamo tutti un gran bisogno. Per questo non dobbiamo cercare di cancellare l’imperfezione. Dall’altra parte mi chiedo: non è che qualcuno li ammira solo per il fatto che gli atleti sono più abili dei disabili?
Forse a far paura è anche la fatica. Siamo spaventati da ciò che è diverso.

Ogni vita introduce una novità. Bisogna saperla cogliere. A chi dice di non farcela e di non poter reggere la fatica dico che si sta perdendo un dono. Ogni vita ne porta uno. Le olimpiadi saranno servite se si comprenderà questo.
Altrimenti?

Continuerà a permanere quello che una mia amica in sedia a rotelle fa sempre notare: il moralismo ipocrita di una società che si lamenta della carenza di servizi per disabili mentre tollera o appoggia una legislazione abortista ed eugenetica. Questo accade quando il valore non è più la vita in sé, ma la sua qualità. Bisogna accorgersi del miracolo che è in qualsiasi stato. Se non si comincia a riconosce questo allora la si può sempre relativizzare e quindi sopprimere e rifiutare nei casi in cui non risponde ai parametri scelti.