Un cartello sugli spalti per ammonire
papà e mamme. Il tecnico della scuola calcio,
Caccianiga: «I ragazzi si divertivano in allenamento ma non nelle partite A 6
anni la vittoria è imparare il rispetto e la solidarietà».
«Non
basta allenare i bambini, bisogna educare i genitori». E se lo dice Marco
Caccianiga, uno che dal 2004 passa le giornate sul campo della scuola calcio
del Varese, c’è da credergli. Troppa pressione attorno ai campetti, troppe
aspettative nei confronti dei piccoli calciatori. Senza contare il contorno
di insulti e litigi. Il calcio dei piccoli è assediato dalle nevrosi dei
grandi, per fortuna ogni tanto qualcuno dice basta. «Due anni fa mi sono
accorto che i bambini si divertivano in allenamento, ma non il giorno della
partita – spiega Caccianiga
–. Si trasformavano e diventavano di colpo tesi».
Lui dava consigli dalla panchina, ma i papà “telecomandavano” i figli dalla
tribuna. Se Caccia- niga diceva di
allargarsi a destra, da fuori gridavano di correre al centro. Risultato:
confusione totale in campo e nelle teste dei mini calciatori. L’allenatore ha reagito appendendo un cartello sulla recinzione.
Forte e chiaro il messaggio: «Questo è il campo della scuola calcio Varese. Noi
qui ci divertiamo, impariamo a rispettare le regole, i compagni ed il mister.
Non giochiamo “mai” contro ma “con” i bambini delle altre squadre. Non
rovinateci il piacere di calciare un pallone. Evitate i commenti e gli
atteggiamenti esagerati ». Poi, per chiarire meglio il concetto: «Non è colpa
nostra se qualche genitore è dispiaciuto per non essere diventato calciatore.
Urlare non serve a nulla. Lasciateci sognare. Divertirci è un nostro diritto.
Sostenerci sempre è un vostro dovere e una gioia per noi. Grazie a tutti».
Firmato: i bambini della scuola calcio Varese.
Dopo due anni le cose sono cambiate.
«Sugli spalti abbiamo notato un netto miglioramento. I genitori hanno capito
che la vittoria non è tutto. Il vero successo è portare i ragazzini a
diventare prima di tutto una squadra, il che significa aiutarsi e
rispettarsi». I risultati veri sono altri. «Una delle maggiori soddisfazioni è sentire un
genitore che ti dice: da quando viene ad allenarsi, mio figlio ha migliorato il
comportamento a casa e a scuola. Significa che il percorso è giusto e che
anche papà e mamme possono darci una grossa mano, diventando un valore
aggiunto e non una fonte di stress». Inutile sgolarsi a bordo campo e rimproverare il figlio per un
gol sbagliato. «A 6-7 anni conta solo appassionarsi allo sport. È inutile
insistere nel cercare la stoffa del campione. C’è tempo. Anche a noi piace
vincere. Ma si fa sul serio dagli allievi in su». Il Varese, caso più unico
che raro nel calcio professionistico, non fa selezione fino ai 13 anni: chi vuole
si iscrive, poi si vedrà. Una visione allegra del calcio che Caccianiga, innamorato
del Brasile, non poteva che sposare in pieno. Sul suo profilo Facebook spunta una sua foto con Felipao Scolari, ct della Seleçao. «Amo
il Brasile e il suo calcio. Mi sono avvicinato alla sua cultura suonando le
percussioni e ho scoperto un mondo. Ora cerco di trasferire questa passione
ai miei ragazzi». Che come in Sudamerica crescono a pane e pallone, nel vero
senso della parola. Ogni bambino ne riceve uno personale. «Ne possono fare
quello che vogliono, anche colorarlo. L’importante è che non lo dimentichino a
casa, altrimenti si devono allenare senza. Anche questo è un modo di
responsabilizzarli». Con un maestro “brasiliano”, semmai, il rischio è di
dimenticarsi dell’esistenza del passaggio. «Non c’è pericolo – assicura Caccianiga
–. È vero che il primo passo è: io e il mio pallone. Ma quello successivo è
altrettanto importante: io, il mio pallone e i miei compagni».