"A VARESE I BAMBINI DANNO UN CALCIO ALLO STRESS PER EDUCARE I GENITORI": DA AVVENIRE.IT DEL 12/02/2014

Un cartello sugli spalti per ammonire papà e mamme. Il tecnico della scuola calcio, Caccianiga: «I ragazzi si divertivano in allenamento ma non nelle partite A 6 anni la vittoria è imparare il rispetto e la solidarietà».

«Non basta allenare i bam­bini, bisogna educare i genitori». E se lo dice Marco Caccianiga, uno che dal 2004 passa le giornate sul cam­po della scuola calcio del Varese, c’è da credergli. Troppa pressione attorno ai campetti, troppe aspettative nei con­fronti dei piccoli calciatori. Senza con­tare il contorno di insulti e litigi. Il cal­cio dei piccoli è assediato dalle nevrosi dei grandi, per fortuna ogni tanto qual­cuno dice basta. «Due anni fa mi sono accorto che i bam­bini si divertivano in allenamento, ma non il giorno della partita – spiega Cac­cianiga
–. Si trasformavano e diventa­vano di colpo tesi». Lui dava consigli dalla panchina, ma i papà “telecoman­davano” i figli dalla tribuna. Se Caccia- niga diceva di allargarsi a destra, da fuo­ri gridavano di correre al centro. Risul­tato: confusione totale in campo e nel­le teste dei mini calciatori. L’allenatore ha reagito appendendo un cartello sulla recinzione. Forte e chiaro il messaggio: «Questo è il campo della scuola calcio Varese. Noi qui ci diver­tiamo, impariamo a rispettare le rego­le, i compagni ed il mister. Non gio­chiamo “mai” contro ma “con” i bam­bini delle altre squadre. Non rovinate­ci il piacere di calciare un pallone. Evi­tate i commenti e gli atteggiamenti e­sagerati ». Poi, per chiarire meglio il con­cetto: «Non è colpa nostra se qualche genitore è dispiaciuto per non essere diventato calciatore. Urlare non serve a nulla. Lasciateci sognare. Divertirci è un nostro diritto. Sostenerci sempre è un vostro dovere e una gioia per noi. Gra­zie a tutti». Firmato: i bambini della scuola calcio Varese.
Dopo due anni le cose sono cambiate. «Sugli spalti abbiamo notato un netto miglioramento. I genitori hanno capi­to che la vittoria non è tutto. Il vero suc­cesso è portare i ragazzini a diventare prima di tutto una squadra, il che si­gnifica aiutarsi e rispettarsi». I risultati veri sono altri. «Una delle maggiori sod­disfazioni è sentire un genitore che ti dice: da quando viene ad allenarsi, mio figlio ha migliorato il comportamento a casa e a scuola. Significa che il per­corso è giusto e che anche papà e mam­me possono darci una grossa mano, di­ventando un valore aggiunto e non u­na fonte di stress». Inutile sgolarsi a bordo campo e rim­proverare il figlio per un gol sbagliato. «A 6-7 anni conta solo appassionarsi al­lo sport. È inutile insistere nel cercare la stoffa del campione. C’è tempo. Anche a noi piace vincere. Ma si fa sul serio da­gli allievi in su». Il Varese, caso più uni­co che raro nel calcio professionistico, non fa selezione fino ai 13 anni: chi vuo­le si iscrive, poi si vedrà. Una visione al­legra del calcio che Caccianiga, inna­morato del Brasile, non poteva che spo­sare in pieno. Sul suo profilo Facebook spunta una sua foto con Felipao Scola­ri, ct della Seleçao. «Amo il Brasile e il suo calcio. Mi sono avvicinato alla sua cul­tura suonando le percussioni e ho sco­perto un mondo. Ora cerco di trasferi­re questa passione ai miei ragazzi». Che come in Sudamerica crescono a pane e pallone, nel vero senso della parola. O­gni bambino ne riceve uno personale. «Ne possono fare quello che vogliono, anche colorarlo. L’importante è che non lo dimentichino a casa, altrimenti si de­vono allenare senza. Anche questo è un modo di responsabilizzarli». Con un maestro “brasiliano”, semmai, il rischio è di dimenticarsi dell’esistenza del pas­saggio. «Non c’è pericolo – assicura Cac­cianiga –. È vero che il primo passo è: io e il mio pallone. Ma quello successivo è altrettanto importante: io, il mio pal­lone e i miei compagni».