Quando nell’estate del 2004 José Mourinho approdò alla
corte dello sceicco russo Roman Abramovich nel Chelsea si autodefinì “a Special
One”. C’è stato un altro grande allenatore, che a pieno merito si può definire
a sua volta speciale, ma era tutta un'altra epoca, erano gli anni Trenta, non
c’era il fiume di denaro di oggi e nemmeno le televisioni, comunque esistevano
il calcio, la passione e il talento.
L’allenatore in questione era Arpàd Weisz, discreto calciatore ungherese e successivamente eccellente allenatore, forse il migliore della sua epoca. Fu il più giovane e a soli trentaquattro anni vinse lo scudetto con l’Ambrosiana Inter nel 1929-30, primo a girone unico, dove fece esordire un giovanissimo Giuseppe Meazza. Fu lui ad allenarlo individualmente al muro per insegnarli a calciare con entrambi i piedi. Poi passò al Bologna “che tremare il mondo fa”. Qui vinse due scudetti consecutivi e dette una lezione di calcio, al torneo di Parigi, ai maestri inglesi del Chelsea infliggendogli un sonoro 4-1, in un’epoca dove non
c’erano ancora le coppe europee.
L’allenatore in questione era Arpàd Weisz, discreto calciatore ungherese e successivamente eccellente allenatore, forse il migliore della sua epoca. Fu il più giovane e a soli trentaquattro anni vinse lo scudetto con l’Ambrosiana Inter nel 1929-30, primo a girone unico, dove fece esordire un giovanissimo Giuseppe Meazza. Fu lui ad allenarlo individualmente al muro per insegnarli a calciare con entrambi i piedi. Poi passò al Bologna “che tremare il mondo fa”. Qui vinse due scudetti consecutivi e dette una lezione di calcio, al torneo di Parigi, ai maestri inglesi del Chelsea infliggendogli un sonoro 4-
Arpàd fu altamente innovativo per la sua epoca, tanto da scrivere il “Manuale del
giuoco del calcio” con prefazione di Vittorio Pozzo, testo con nozioni che oggi
apprendono tutti ma che allora erano un'assoluta novità e mostrava tutta
l’intelligenza di questo maestro del calcio ungherese. Portò in Italia il
metodo Chapman e sperimentò i ritiri in località termali.
Dati i meriti, si pensa che uno così avrebbe terminato la
sua vita fra gli applausi, osannato
e ricco, e che avrebbe ricevuto grandi riconoscimenti per la sua gloriosa
carriera. Niente di tutto questo, perché Weisz morì nel campo di concentramento
di Auschwitz il 31 gennaio 1944, perché Arpàd Weisz, il sommo allenatore, era
di origine ebraiche e come tale è incappato in una delle più tremende tragedie
del Novecento: la Shoah.
Già nel 1938,
in seguito alla emanazione delle leggi razziali in
Italia, il Bologna fu costretto a licenziarlo. Arpàd si mise in viaggio con la
famiglia e riparò a Parigi, poi in Olanda, a Dordrecht, dove allenerà una
piccola squadra di dilettanti impartendo, ancora una volta, lezioni di calcio
al super blasonato Feyenoord. Ma le leggi razziali non gli lasciarono scampo,
gli ebrei erano discriminati in tutto, e i Weisz vissero grazie a sostentamenti
segreti.
La furia nazista però infierì e nell’agosto del '42 la famiglia
Weisz venne prelevata dalle SS e portata nei campi di concentramento.
Weisz resisterà sedici mesi prima di morire. Assieme a lui persero la vita la
moglie e i suoi due piccoli figli. Per sessant’anni la sua storia è rimasta
nell’oblio, completamente dimenticata. E’ tornata alla luce di recente, grazie
anche all’opera di due giornalisti sportivi, Federico Buffa e Matteo Marani, i
quali hanno scritto una biografia, purtroppo tragica, di Arpàd Weisz. In
particolare Marani ha scritto un pubblicato intitolato “Dallo scudetto ad
Auschwitz” in cui racconta la vicenda umana dell’allenatore. I due giornalisti
verranno premiati a Milano a metà febbraio dalla comunità ebraica per aver
riportato alla luce la memoria di Weisz.